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Un errore di valutazione del truffatore Ferdinando Esposito (Totò) scatena un conflitto diplomatico nella Roma del dopoguerra, quando scambia il presidente di un comitato di beneficenza del Piano Marshall per un incauto turista americano. La responsabilità dell’operazione di “caccia all’uomo” cade sul brigadiere Lorenzo Bottoni (Aldo Fabrizi), che ha soltanto tre mesi di tempo per (ri)acchiaparlo, mentre la sua divisa è appesa a un filo.

Correva l’anno di grazia 1952 quando Esposito e Bottoni fecero una passeggiata sulla Promenade de la Croisette e Piero Tellini scrisse il suo nome nell’albo d’oro del Prix du scénario del Festival di Cannes. Per essere precisi, Tellini fu l’autore del soggetto, poi sceneggiato dai registi –Mario Monicelli e Steno– e da Fabrizi, assieme a Ennio Flaiano, Ruggero Maccari e Vitaliano Brancati. Non stupisce, dunque, che Guardie e ladri (1951) sia una delle cose più belle mai capitate al nostro cinema, una geniale terapia di gruppo in grado di insufflare vita a un fiume neorealista che sfocia nell’oceano della commedia all’italiana.
Guardie e ladri non fu certamente il primo film a tentare di unire le forze dei due universi cinematografici -ne è esempio, con gli stessi registi, Totò cerca casa (1949), stupenda denuncia, tra ironia e un pizzico di surrealismo, dell’emergenza abitativa del dopoguerra-, ma fu il primo a farlo sublimando il senso profondo di quel tipo di commedia mai condizionato dalle urgenze del lieto fine, che sventola il riso e l’ironia come bandiere di cultura, creazione di coscienza civica e libertà. Perché, come ricordava spesso Monicelli, “in ogni momento della vita di ogni comunità umana ci sono amori, scherzi, divertimenti”.

Perciò la storia comincia respirando l’aria dell’avanspettacolo nella truffa del foro romano (meraviglioso Aldo Giuffrè nei panni di Amilcare, improbabile professore di “archeologia e asmatica” che conferma l’importanza epocale delle scoperte del suo socio) e la posteriore distribuzione di pacchi dono, dove Ferdinando, con tanto di prole finta, viene riconosciuto dall’americano (William Tubbs), propiziando il primo scontro tra guardia e ladro e dando il via a un inseguimento, prima in macchina e poi a piedi, a metà tra il miglior poliziesco americano e il Buster Keaton de Le sette probabilità (1925), fino alla (gloriosa) fuga del ladruncolo.
Una lunga sequenza, nonché uno degli infiniti tocchi di classe di una sceneggiatura scritta con la precisione di un orologiaio, che porta lo spettatore dal centro storico alle borgate, impreziosendo la narrazione con un nuovo livello di discorso: la quotidianità di un popolo che saliva in cima alle macerie del secondo conflitto mondiale. Da allora, la vita allo stato puro segue il ritmo delle ricerche di Bottoni, provocando un progressivo avvicinamento tra le famiglie: un’altra manciata di nomi imprescindibili, dalle mogli (Ave Ninchi e Pina Piovani) al padre di Ferdinando (Ernesto Almirante) e i figli, con due giovanissimi Rossana Podestà e Carlo Delle Piane.

Un film pressoché perfetto, in cui vengono incastonate tutte le sfaccettature dell’esistenza umana, riuscendo a leggere la complessità del periodo con una forza che è patrimonio esclusivo della commedia, sempre citando Monicelli, “che contraddice tutte le regole della commedia”. In questo modo, Guardie e ladri ripercorre molti dei topoi neorealisti ed esplora con maestria uno dei grandi miracoli della stagione, la rottura delle frontiere dell’io, attraverso due personaggi irresistibili -un Pulcinella squattrinato, un brigadiere un po’ imbranato- improvvisamente catapultati nella riscoperta trasversale dell’altro e di loro stessi.
Con le rispettive famiglie all’oscuro della vicenda e in equilibrio precario sul filo del rasoio della dignità (esilarante la scena in cui Esposito ascolta il tema “Mio padre”, scritto dal primogenito Libero / Delle Piane, che inconsapevolmente mette nero su bianco tutte le sue attività lavorative), guardia e ladro scopriranno che è poco o niente ciò che li divide, con indipendenza dal lato della barricata della legge nel quale si trovano. Un’esplosione di umanità e solidarietà che provocò degli screzi con la censura, quando Giulio Andreotti, allora sottosegretario allo spettacolo, chiedeva di lavare in casa “i panni sporchi” degli “eccessi” del neorealismo.

Ben al contrario, in Guardie e ladri Monicelli e Steno denunciano i legami tra disoccupazione, povertà e criminalità all’interno di un sistema repressivo che non vuole arrivare alla radice dei disagi sociali causanti di quelle problematiche; il tutto, in un contesto di “ricostruzione” che per molti non arrivò mai. La decisione di Bottoni di lasciar scappare Esposito, il quale rifiuta l’offerta e gli chiede di accompagnarlo in questura, consapevole che il buon brigadiere si prenderà cura della famiglia durante i mesi di assenza per “affari”, costituiscono una rivoluzione sconfinata di dignità, compromesso e coscienza civile.
Un miraggio sovversivo dal taglio partigiano -spirito ormai perso in un Paese a cavallo del mutamento antropologico degli anni ’50-, lo scontro tra il mondo vecchio e il mondo nuovo in un indimenticabile paesaggio umano, antesignano de I soliti ignoti e I compagni del maestro, strenuo difensore di tutte quelle storie (stra)ordinarie etichettate “come commedia all’italiana in maniera dispregiativa (…), che poi si è scoperto che erano più realiste del neorealismo”. E così, con Totò fingendo un attacco di colite e tubercolosi e Aldo Fabrizi legato allo sciacquone di un gabinetto, il cinema italiano toccò delle vette artistiche che mai più saranno raggiunte.

Guardie e ladri
Un film di Mario Monicelli e Steno, 1951. Italia, Carlo Ponti e Dino De Laurentiis per Golden Film. 101′, b/n.
Soggetto: Piero Tellini. Sceneggiatura: Aldo Fabrizi, Ennio Flaiano, Mario Monicelli, Ruggero Maccari, Steno, Vitaliano Brancati. Interpreti: Aldo Fabrizi, Aldo Giuffrè, Alida Cappellini, Ave Ninchi, Carlo Delle Piane, Ernesto Almirante, Gino Leurini, Mario Castellani, Paolo Modugno, Pietro Carloni, Pina Piovani, Rossana Podestà, Totò, William Tubbs. Fotografia: Mario Bava. Scenografia: Flavio Mogherini. Musiche: Alessandro Cicognini.
Dichiarazioni di Mario Monicelli tratte da: Riprese del film di Monicelli “I compagni” (Istituto Luce Cinecittà, 22-02-1963). Notiziario dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema, 68, 2001. 1 su mille. Mario Monicelli (RAI, 06-10-2009). Intervista a Mario Monicelli, 2006 (“The Organizer” Special Edition, The Criterion Collection, 2012).
“Forse hanno ragione loro e siamo pazzi”: