Pane e tulipani è un ingranaggio perfetto. Perciò, vent’anni (suonati) dopo l’uscita in sala, il film di Silvio Soldini continua a svolgere la sua missione con la stessa efficacia del primo giorno. Una “funzione nell’universo” che coincide con quella di Venezia: “migliorare l’aspetto del tempo, abbellire il futuro” (Iosif Brodskij, Fondamenta degli Incurabili, 1989).
Bruno Ganz e Licia Maglietta in Pane e tulipani. Silvio Soldini, 2000.

Un incidente senza importanza durante una breve (e pietosa) gita segna l’inizio del viaggio più importante della vita di Rosalba (Licia Maglietta): dimenticata dal gruppo -che include marito, figli adolescenti, suocera e altra parentela- in un autogrill, decide di non aspettare il ritorno del pullman e fare un salto a Venezia. Questione di ore, un piccolo respiro prima di tornare alla sua banale quotidianità familiare. O, almeno, così crede. Poche lire, una pensione in procinto di chiudere, un ristorantino con un’illuminazione, nella migliore delle ipotesi, migliorabile e un cameriere (Bruno Ganz) che deve nascondere un cappio pronto per l’uso prima di ospitarla in casa.

In principio, per una notte. “In principio”, tutto in questa favola sembra “in principio”, ma l’arrivo di Rosalba sommergerà i personaggi in un mare di serendipità, in una successione di quegli svincoli dai quali non si può e, soprattutto, non si vuole tornare indietro. Tenero, divertente, emozionante, sincero: Pane e tulipani non è un film, è uno stato dell’anima che sembra arrivare da un’altra latitudine, la stessa di Fernando Sonnenblume, anzi, Fernando Girasole. Il cameriere islandese di Ganz, con modi e italiano di altri tempi, è l’evoluzione inevitabile e irresistibile del suo angelo precipitato sulla terra da Il cielo sopra Berlino (Wim Wenders, 1987).

Bruno Ganz in Pane e tulipani. Silvio Soldini, 2000.

Damiel rinunciò all’eternità pur di provare le vertigini dell’amore e adesso Fernando, mentre espia colpe proprie e altrui, si vede costretto a rifondare le fondamenta della sua vita proprio quando stava per rinunciarvi. E, con lui, Rosalba, il cui ritorno a Pescara, tutt’altro che inaspettatamente, viene rimandato sine die. Un processo di rinascita, al suon dell’acqua dei canali e delle note di un vecchio debito di gioco sotto forma di fisarmonica, durante il quale Ganz e Maglietta vanno oltre la semplice chimica attoriale e creano pura magia su pellicola, mettendo in moto, ad ogni scambio di sguardi, un intero universo nel cuore più nascosto e luminoso di Venezia.

Perché niente è evidente in Pane e tulipani. La fotografia sognante di Luca Bigazzi, che ha il sapore dei cassetti polverosi brulicanti di segreti, non ci porta a spasso per la città da gruppo vacanze che, tra una visita e l’altra, assiste a dimostrazioni di batterie di pentole (ogni riferimento all’inizio della trasformazione di Rosalba è voluto, eccome), ma coccola l’anima fatata delle sue callette, dei vicoli stretti, delle piazze e dei ponticelli. È la Serenissima del porto della Marittima che si vede dalla finestra di quel caos calmo che è l’appartamentino di Fernando, del Campiello dei Miracoli o della Sacca della Misericordia. Un sogno dentro un sogno perfettamente reale.

Licia Maglietta e Bruno Ganz in Pane e tulipani. Silvio Soldini, 2000.

A questo paesaggio fisico insolito e perfetto si aggiunge un paesaggio umano altrettanto insolito e perfetto. I coinquilini, discepoli dell’indomabile Orlando, navigano nella Laguna accompagnati da un mucchio di creature deliziose -il film sublima l’arte del casting-, sognatori sgangherati all’interno di un castello di destini incrociati, da Grazia (Marina Massironi), “estetista e massaggiatrice olistica”, vicina di casa di Fernando e subito amica e complice di Rosalba, a Costantino (Giuseppe Battiston), idraulico riconvertito in detective per volere di Mimmo (Antonio Catania), esperto di sanitari con un unico obiettivo: che la sua amante si prenda cura dei lavoretti domestici.

E anche, forse soprattutto, Fermo (Felice Andreasi), fioraio anarchico e datore di lavoro di Rosalba, che pronuncia le frasi più importanti del film: “La libertà è un diritto inviolabile” e “Le cose belle sono lente”. È questa lentezza inesorabile della bellezza a permeare la sceneggiatura di Soldini e Doriana Leondeff, che convertono così l’asso pigliatutto della commedia romantica in uno spaccato di umanità dalla freschezza e la naturalezza disarmanti. “Pane e rose”, chiedevano i lavoratori tessili di Lawrence nel 1912, cibo per il corpo e per l’anima. Esattamente ciò che regala Pane e tulipani, che trasforma per sempre lo spettatore e lo convince, finalmente, a dare del tu alla vita.

Pane e tulipani. Silvio Soldini, 2000.

Pane e tulipani

Un film di Silvio Soldini, 2000. Italia – Svizzera, Monogatari – Istituto Luce – Rai. 114′, colore.

Soggetto e sceneggiatura: Doriana Leondeff, Silvio Soldini. Interpreti: Antonio Catania, Bruno Ganz, Felice Andreasi, Giuseppe Battiston, Licia Maglietta, Marina Massironi. Fotografia: Luca Bigazzi. Montaggio: Carlotta Cristiani. Scenografia: Paola Bizzarri. Musiche: Giovanni Venosta.

Sulle orme di un angelo svizzero:

BRUNO GANZ CHE SEI NEI CIELI