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Nando Guida, ciociaro, (quasi) 40 anni. Di notte: milionario, scrittore di successo, amante dell’affascinante Joan, ex ballerina a Las Vegas, scappata dalle grinfie dello spietato boss McNally. Di giorno: impiegato insoddisfatto, sottoposto a un mortificante lavoro d’ufficio presso l’Istituto romano dei beni immobili. Questione di sfumature.
L’impiegato è un gioiello irresistibile. Il mai abbastanza celebrato Gianni Puccini scrisse e girò il film nel 1959, affiancato in entrambi i ruoli da uno degli sguardi più lucidi ed esplosivi del nostro cinema, Elio Petri, e prendendo spunto dal racconto La vita segreta di Walter Mitty, di James Thurber, che aveva già vissuto una prima trasposizione filmica nel 1947, Sogni proibiti; un influsso che da allora non ha mai smesso di farsi sentire sul grande schermo in tutte le latitudini, dai Sogni mostruosamente proibiti di Neri Parenti (1982) a I sogni segreti di Walter Mitty di Ben Stiller (2013).

I due allievi di Giuseppe De Santis italianizzano, nel senso migliore del termine, la storia e ne fanno un viaggio per la memoria sentimentale del Paese alle porte del boom economico, tra Carosello e i Gialli Mondadori, che diventano per Nando trafficanti di speranze. Con una regia garbata -prova della versatilità di un Puccini che pochi anni dopo darà alla luce l’imprescindibile I sette fratelli Cervi– e una sceneggiatura leggera e mai semplicistica, L’impiegato magnetizza l’attenzione dello spettatore a spasso tra mondo reale e onirico, una dualità scandita da dialoghi acuti e brillanti, sostenuti da uno straordinario complesso di attori.
Il primo membro? Roma, abbracciata dalla bellissima fotografia di Carlo Di Palma, da Piazza Vittorio a Piazza Dante, da Porta Cavalleggeri al Colosseo, e anche seduta al tavolo di quei bar brulicanti di insegne Martini, dove la TV era da poco sbarcata per rivoluzionare la spettabile clientela. Se, invece, rivolgiamo lo sguardo verso gli interpreti in carne e ossa, L’impiegato fu il primo ruolo da protagonista assoluto per Nino Manfredi, anche co-sceneggiatore, che nello stesso anno ci aveva già regalato il meccanico Ugo Nardi (“Dateme chiacchiera, sennò m’addormo”) nell’Audace colpo dei soliti ignoti di Nanni Loy.
In quest’occasione, Nino è un mattatore senza concessioni all’istrionismo, un uragano tranquillo dalla naturalezza disarmante: ironico, tenero, eterno innamorato, il suo Nando è per molti versi l’antesignano di Balestrini Marino nel capolavoro Straziami, ma di baci saziami (Dino Risi, 1968), baciato senza ritegno dalla cinepresa in ogni inquadratura (e come biasimarla?). Il mattatore, però, non è solo: forma coppia con un altro debito storico del cinema italiano, Andrea Checchi, nei panni di Francesco, vedovo con due figli a carico, collega e amico fedele, un po’ buffo, troppo incantevole e sempre spaesato (e affamato).

Francesco è alla ricerca del suo posto nei nuovi tempi, un posto con le sembianze della sorella di Nando (Anna Campori), un’ancora di salvataggio molto più terrenale della meravigliosa Joan (Anna Maria Ferrero), tra le cui braccia di carta il nostro eroe si sollazza fino all’alba. “Tutte le mattine a quest’ora, dalle 8 alle 2 una forza invincibile mi afferra, mi domina e mi trascina…”: è la sveglia impietosa che lo catapulta nella mediocrità quotidiana degli uffici dell’Istituto (“Il collega ha avuto la fortuna di ammalarsi e io lo sostituisco”, ripete mentre gestisce diversi sportelli simultaneamente), dove ogni bellezza svanisce.
Perché L’impiegato è un Fantozzi ante litteram -la sua vestizione in fretta e furia è alla radice dell’ormai mitico risveglio del ragioniere, dove “tutto è calcolato sul filo dei secondi”, compresa la “spazzolata dentifricio mentolato su sapore caffè”-, una critica solo in apparenza più sottile, meno feroce nella forma di quella articolata da Paolo Villaggio e poi portata sull’orlo della schizofrenia da Petri e Gian Maria Volontè ne La classe operaia va in Paradiso. “È in arrivo da Milano un ispettore specialista in Human Relations”, annuncia il direttore (Gianrico Tedeschi). “Rottura di corbelli”, riassume Nando.
L’ispettore è la dottoressa Jacobetti (Eleonora Rossi Drago), a capo di “una trasformazione degli ambienti e delle mentalità” destinata a sconvolgere non soltanto la vita lavorativa, ma anche quella privata dei dipendenti. Una satira spietata che prende di mira le allora rivoluzionarie (si fa per dire) teorie anglosassoni sulla produttività in ufficio (per le quali diventano superflui e dannosi persino gli affreschi settecenteschi, non consoni agli studi cromatici moderni), raggiungendo vette geniali nella scena in cui Nando e Francesco devono scrivere una lettera di sfratto seguendo le nuove regole: “Firmo Somma Francesco o Franceschino tuo?”.

Una lama sociologica quasi kafkiana (terre esplorate con maestria da Petri nei suoi lungometraggi, a cominciare da L’assassino nel 1961), che cavalca le onde di Nikolaj Gogol’ e Arthur Miller per denunciare con una preveggenza e un’attualità paurose la menzogna della società dei consumi e la creazione dell’uomo-macchina schiacciato da un sistema disumano (“Questo orologio deve diventare la vostra coscienza”), con il trasloco in una dimensione fantastica come unica alternativa alla realtà alienante della civiltà contemporanea. Uno schiavo in un mondo felice: “Mi hanno licenziato. Con i più cordiali saluti, ma mi hanno licenziato”.
Il maggior tocco di classe del film -c’è, eccome, l’imbarazzo della scelta- probabilmente sia il panello del “Villaggio del piccolo risparmio”, nuovo quartiere residenziale della classe impiegatizia perversamente simile al Panopticon di Jeremy Bentham, un carcere ideale nel quale un unico sorvegliante controlla tutti gli interni, sfiniti dalla tensione di non poter capire se siano osservati o meno. “Quella al centro dev’essere la torretta delle guardie”, Nando sorride con amarezza, “ma da dove si evade qui?”. E poi, una voce in sottofondo: “Non si fa così, una bomba qui e via!”. Sì, L’impiegato è “una bomba”, come André Breton scriveva di Frida Kahlo, “avvolta da un nastro di seta”.
L’impiegato
Un film di Gianni Puccini, 1959. Italia, Ajace Produzioni Cinematografiche. 95′, b/n.
Soggetto e sceneggiatura: Elio Petri, Gianni Puccini, Nino Manfredi, Tommaso Chiaretti. Interpreti: Andrea Checchi, Anna Campori, Anna Maria Ferrero, Arturo Bragaglia, Eleonora Rossi Drago, Franco Giacobini, Gianni Bonagura, Gianrico Tedeschi, Nino Manfredi, Pietro De Vico, Sergio Fantoni. Fotografia: Carlo Di Palma. Montaggio: Nino Baragli. Scenografia: Giovanni Checchi, Carlo Egidi. Musiche: Piero Piccioni.
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