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Mentre il mondo è in guerra per la seconda volta, un ragazzo dagli occhi azzurri, talmente bello da sembrare intriso di malinconia, fa il magazziniere, diventa campione di boxe, si improvvisa vignettista e persino annunciatore alla radio, assieme a un tale Ugo, due stelle pronte a esplodere e legate da “50.000 motivi per essere amici”.
Il debutto teatrale avviene per caso, come spesso succede con le storie più belle, e anche con quelle più tragiche: è l’inverno del 1944 e all’Olimpia di Milano scoprono un dilettante geniale. Durante la gavetta d’obbligo, accanto a Marisa Maresca, Annicchiarico diventa Chiari e, con l’arrivo degli anni 50, prende definitivamente il volo. È l’inizio di due decenni ruggenti che trasformano per sempre la storia dello spettacolo in Italia, attraversata da un filo rosso chiamato Walter.
La sua comicità unica, brillante, satirica, istintiva, mai volgare, mai scontata, è una rivoluzione di modernità; la presenza calda, tenera e impeccabile, la voce inconfondibile, Walter è un talento sconfinato, una combinazione esplosiva di fascino e di cultura, di dominio assoluto della smorfia e della parola (in dialetto o nel suo italiano ricchissimo), il che gli conferisce una capacità di improvvisazione con pochi paragoni: impossibile sottometterla al minutaggio serrato del negozio.

Chiari spazia in tutti i generi e in tutti è straordinario. Gli anni di avanspettacolo e rivista mettono a punto il suo stile magistrale, accompagnato dalla spalla (si fa per dire) storica, Carlo Campanini, ma anche da Gino Bramieri e Bice Valori. Walter si incorona re della commedia musicale -siano lodati Garinei e Giovannini per l’irresistibile coppia Chiari-Scala- e giganteggia in prosa, come dimostra il clamoroso successo de La strana coppia di Neil Simon, accanto a Renato Rascel.
È un animale da palcoscenico, teatrale e anche catodico, un conduttore all’americana, assolutamente trasversale e meravigliosamente diverso, che canta, balla, recita; in veste di autore e protagonista, scrive alcune delle pagine più risplendenti della comicità televisiva nostrana e i suoi sketch -uno per tutti, il “sarchiapone”-, parodie e monologhi delineano la migliore memoria sentimentale del Paese, da La via del successo a Studio Uno, da Canzonissima a Tutto Totò.
La stesura originale era di due pagine, scritte da Terzoli e Walter. Si basava su una cosa che avevano visto alla stazione di Formia, dove un ambulante urlava: “Sarchiapo’, sarchiapone america’!”, e vendeva non so bene che. Io l’ho visto diverse volte, l’ho visto durare dieci minuti, venti minuti, quaranta minuti, cioè, l’intero secondo tempo dello spettacolo. E reggeva perché era straordinario, poteva andare avanti a vita, era perfetto e lui era perfetto; reggeva perché non era solo uno sketch comico, era una scenetta satirica: l’italiano che non accetta di non sapere qualcosa.
— Enrico Vaime in: “Un giro di Walter”, La Storia siamo noi, Rai, 2006.

E poi, i fulmini a ciel sereno: due processi giudiziari, nel 1970 e nel 1984; il secondo, la vergogna che fa a pezzi anche Enzo Tortora. Chiari viene scagionato, ma la sua carriera si vede pesantemente stroncata: nemmeno una forza della natura è in grado di uscire indenne dalla rivoltante ipocrisia di quei moralisti che Pier Paolo Pasolini descrive (e soffre) come nessun altro: “Io sono per la morale contro il moralismo borghese. Il moralista dice di no agli altri; l’uomo morale, solo a sé stesso”.
Un capro espiatorio, travolto dal proprio incanto, dalle proprie fragilità, da una generosità che non trova risposte all’altezza. Per anni le porte della Rai si chiudono: rimane legato al piccolo schermo, ma in emittenti inadatte alla sua immensità. Fino alla Storia di un altro italiano (Rai 3, 1986), che confronta la vecchia televisione con lo squallore dilagante. Nello stesso anno, un ragazzo di Rimini di nome Federico punta nella stessa direzione con il suo profetico film Ginger e Fred.
Walter, il nostro primo divo internazionale, lavora con Orson Welles, Otto Preminger, Michael Powell e approda persino a Broadway. Gira più di un centinaio di film, alcuni capitoli memorabili della “divina commedia” degli anni 50 e 60, assieme a Totò, Vittorio De Sica, Tognazzi (sì, Ugo), Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni, per citarne solo alcuni. Abbiamo scelto quattro esempi di ciò che erano l’uomo e l’attore, quattro film deliziosi, affascinanti, divertenti, teneri, strazianti, incantevoli.
Quattro film riassunti in due parole: Walter Chiari.
Bellissima

L’uragano Chiari esordisce sul grande schermo nel 1947 e nel 1949 vince il Nastro d’argento, ma il suo primo vero tour de force arriva nel 1951, con Luchino Visconti dietro la macchina da presa. È Bellissima e Walter, allora 27enne, si mette nei panni di Alberto Annovazzi, adorabile “traffichino” per i teatri di Cinecittà, nella storia indimenticabile di una “madre coraggio” all’ombra delle luci della ribalta. Vittime entrambi di quella fabbrica di illusioni, Walter e Nannarella, in un connubio attoriale superbo, ci regalano una delle sequenze più belle del cinema italiano (il che non è dire poco): la conversazione sulla riva del Tevere (girata, però, in interni, presso gli studi di Cinecittà), tra rimpianti, speranze e paure (“Lei non ha mai pensato di lasciarsci andare?”), per ritornare al bivio dove si era persa la valigia dei sogni.
La rimpatriata

Quattro ex amici, adagiatisi sui peggiori allori borghesi, si radunano per rivivere una serata “come quelle di prima”. Da catalizzatore, Cesarino: sarà lui, il perdente, l’idealista, quello che nella Milano del boom economico è soltanto vicedirettore di un cinema di periferia, a soffrire le conseguenze di una notte di finte complicità, fino alla scoperta della vecchia fiamma del gruppo, prostituta a ridosso degli scheletri edilizi. Con Il sorpasso molto presente nella memoria, questo gioiello misconosciuto di Damiano Damiani si muove al ritmo di un Chiari perfetto. Una critica spietata del conformismo sociale italiano, attraverso un preveggente parallelismo tra quei mostri falsi e immaturi, falliti nonostante le apparenze, e una società sull’orlo del baratro: “Qui costruiscono, costruiscono, ma il miracolo economico è già finito. Ce ne accorgeremo”.
Il giovedì

Scegliere un ruolo cinematografico di Chiari? Impossibile, ma tra i candidati più forti spicca Dino, padre divorziato alle prese con un figlio che è ormai un estraneo. Diceva Dino Risi che era uno dei suoi migliori film, e non solo: è, oggettivamente, una piccola meraviglia, tutta da riscoprire. Una storia in apparenza semplice, ma dotata di una profonda carica emozionale e psicologica, nonché una scelta rivoluzionaria che mette in luce realtà familiari tutt’altro che “normali” negli anni 60. E, mentre tenta di risolvere una serie di catastrofici incontri che mettono a repentaglio il suo fantomatico “papà perfetto”, Walter diventa semplicemente irresistibile. Perché? La risposta è facile. “Le cose migliori del film”, ricorda suo figlio, Simone, “erano amplificate a mille nella vita reale”. Esatto: Il giovedì è un intreccio di vita e di arte, puro Walter su pellicola.
Romance

Spesso gli attori più solari e travolgenti danno il meglio di sé nei personaggi drammatici o tragicomici e Romance ne è l’ennesima conferma. Delicatezza, dolore, paura, speranza: Giulio, un uomo provato, disarmato, ma non completamente distrutto, cerca di riallacciare rapporti con la sua famiglia dopo anni di isolamento in montagna. Con lui, Walter abbandona il piano filmico e si butta a capofitto in quello della poesia, facendone uno stato dell’anima. “È una storia che io definisco ‘quasi qualsiasi’, fatta di umori che toccano nel profondo”, dichiara al Festival di Venezia, “dove l’unico eroismo è vivere una vita comune”. Un ritorno trionfale dopo sette anni di silenzio, una Coppa Volpi più che annunciata, che gli viene, però, strappata dalle mani dietro le quinte. È l’invidia degli dei? Forse Esiodo e Pindaro avevano ragione.
Questo è anche il momento dei suoi ultimi grandi ruoli teatrali: Il critico, di Richard Sheridan, e soprattutto Finale di partita, di Samuel Beckett, affiancato da Rascel. Nell’ultima apparizione televisiva va A pranzo con Wilma, De Angelis, con la quale ha da poco lavorato nella miniserie Rai I promessi sposi. È il 18 dicembre del 1991 e la puntata sarebbe dovuta andare in onda il giorno di Natale, ma Chiari muore appena 48 ore dopo la registrazione. Prima di cominciare a preparare il cibo, Wilma butta via la barba di Babbo Natale con cui è apparso; lui -gli occhi infinitamente azzurri, infinitamente malinconici, infinitamente belli- canta, fa giochi di parole e scherza con l’Orlando furioso: “No! E l’anno prossimo che facciamo? / La recuperiamo!”. E la recupereremo tutte le volte che sarà necessario, Walter, perché sei immortale.