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Perlustrare la filmografia di Lino Ventura per stilare una classifica dei suoi ruoli fondamentali è, oltre che un raffinato piacere, un compito arduo: il volto, il fisico e la voce dell’attore parmigiano hanno la capacità di far gravitare tutto intorno a sé, accarezzando spesso le più pure forme di cinema. Tra di essi, però, possiamo indubbiamente annoverare -ne abbiamo già parlato in articoli precedenti- il gangster Abel Davos di Asfalto che scotta (Claude Sautet, 1960), l’ispettore Amerigo Rogas di Cadaveri eccellenti (Francesco Rosi, 1976) e -ne parliamo adesso- anche il commissario Marceau Leonetti di Ultimo domicilio conosciuto (José Giovanni, 1970).
Uomo integro che si schianta contro il muro di un sistema teso a ostracizzare i suoi figli migliori -molti i punti in comune, dunque, con il Rogas di Leonardo Sciascia-, Leonetti viene trasferito in uno sperduto commissariato parigino dopo un arresto sbagliato, ovvero quello del figlio di un potente avvocato, e messo in coppia con una giovane recluta, Jeanne Dumas (Marlène Jobert). Ma la loro routine tra ladruncoli e pervertiti cinefili si spezza con un incarico disperato: ritrovare Roger Martin (Philippe March), scomparso da cinque anni e testimone chiave nel processo per assassinio contro il boss Soramon (Guy Heron) che si terrà tra una settimana.
Ultimo domicilio conosciuto, tratto dal romanzo omonimo di Joseph Harrington, fu il terzo titolo come regista per Giovanni, dopo La donna per una notte (1967) e Il rapace (1968). E se l’autore, sceneggiatore di alcuni dei noir più belli del cinema francese (e non), citava Asfalto che scotta come il miglior adattamento di un suo romanzo (e sicuramente aveva ragione, assieme a Il buco diretto da Jacques Becker nel 1960), Ultimo domicilio conosciuto fu il suo capolavoro registico. Un progetto che seguì lo stesso percorso de Il rapace: innamoratosi del romanzo, Giovanni l’aveva consigliato a Ventura, che non si fermò finché non lo vide messo su pellicola.
E benedetta sia la testardaggine di Lino, poiché il progetto si trasformò in una delle fermate imprescindibili dell’universo polar, una storia poliziesca classica e, al tempo stesso, fuori dai luoghi comuni. La regia sobria ed efficace di Giovanni sublima ancor di più la sua solida sceneggiatura, che tesse il crescendo di tensione con i fili di un ritmo narrativo lento (eccellente la fusione con la colonna sonora di François de Roubaix, tra note fiabesche e profondo noir) in maniera mirabile, mettendo in moto un delicato e spietato meccanismo di atmosfere e contrasti: calma e violenza, tenerezza sublime e odore di morte, giorno e notte, favola e realtà.
Equilibri impossibili squisitamente incastonati in una Parigi mai scontata. Giovanni si traveste da orefice e usa la città -vicoletti, antiche farmacie, parchi e bistrot accarezzati dall’evocativa fotografia di Étienne Becker– per trasmettere il senso di labirinto che sperimentano Leonetti e Dumas. Insieme dovranno ricomporre una vita senza tracce apparenti da cinque anni con un’unica tessera del rompicapo in mano: Citè Glacière, 13esimo distretto, ultimo domicilio conosciuto di Martin. Anzi, due vite, poiché la scoperta dell’esistenza di una figlia, Marie, diventerà il solo appiglio solido per rintracciarli in tempo, nonché un barlume quasi irreale di speranza per gli investigatori.
Perché, in questa storia, sia il paesaggio urbano che il paesaggio umano appaiono disegnati con una sceltezza impareggiabile. Se tutto il cast si rivela idoneo -oltre a quelli già citati, molti altri volti imprescindibili non solo in casa Giovanni, ma anche nel genere, da Paul Crauchet a Michel Costantin-, l’anima di Ultimo domicilio conosciuto sono Ventura e Jobert, quintessenza del gioco di equilibri impossibili alla radice del film, davanti e dietro la macchina da presa: alcune richieste creative disattese dal regista spinsero Jobert a rinunciare al ruolo pochi giorni prima dell’inizio delle riprese, mettendo a repentaglio il progetto e creando un comprensibile malumore generale.
“Errori d’inesperienza: diventai subito la rompiscatole”. Un’ostilità che sembra incredibile a guardare il loro miracolo di chimica sullo schermo. Leonetti, “la roccia indistruttibile”, Dumas, “una Pasionaria indebolita dal suo idealismo”, come li definiva Giovanni: lui, l’eroe tragico che ha provato sulla propria pelle i retroscena del sistema, tema tanto caro al regista, e incassa ogni colpo senza piegarsi completamente; lei, “nuova per il mestiere, nuova per la vita”, un miscuglio di fragilità, caparbietà e purezza -Giovanni la scelse dopo averla visto ne L’astragalo (Guy Casaril, 1968)-, contraltare perfetto della maturità radiosa, dell’umanità irresistibile di Ventura.
Insieme sono una bomba ad orologeria di dignità e umanissima rabbia, un esempio di integrità professionale e personale sfruttata dai “buoni” e dai “cattivi”. Tra i primi esempi di neo-polar, in cui l’autorità comincia a perdere qualsiasi bussola morale fino a diventare indistinguibile da quelli che perseguita, Ultimo domicilio conosciuto è un’opera dalla bellezza etica ed estetica ammaliante, la più amara di Giovanni, che fruga nella polvere di un sistema in decomposizione per ritrovare qualche irriducibile brandello di speranza. “Ho visto la Legion d’onore, non la porta mai? / No: te la danno per una cosa e ti silurano per la stessa cosa, allora…”.
Ultimo domicilio conosciuto
Dernier domicile connu. Un film di José Giovanni, 1970. Francia – Italia, Simar – Rizzoli. Colore, 105′.
Soggetto: tratto dal romanzo di Joseph Harrington The Last Known Address (1965). Sceneggiatura: José Giovanni. Interpreti: Alain Mottet, Albert Dagnant, Béatrice Arnac, Guy Heron, Jean Sobieski, Lino Ventura, Marcel Pérès, Marlène Jobert, Michel Constantin, Monique Mélinand, Paul Crauchet, Philippe March. Fotografia: Étienne Becker. Montaggio: Kenout Peltier. Scenografia: Jean-Jacques Caziot. Musiche: François de Roubaix.
Dichiarazioni tratte da: Luciano Melis e Laurent Ventura, Lino Ventura (Éditions de La Martinière – Gaumont, 2019), Philippe Lombard, Lino Ventura, le livre coup de poing! (Hugo Image, 2022).