XV era fascista (vale a dire, 1937): manca poco ai festeggiamenti del 28 ottobre e la tranquilla quotidianità di prevaricazione in un paesino pugliese viene messa a repentaglio da una soffiata sull’imminente arrivo di un gerarca in incognito. Il tanto temuto “ispettore politico-amministrativo” è individuato in un forestiero, appena arrivato da Roma, che si spaccia per un assicuratore in cerca di nuovi clienti.

Ma Omero Battifiori (Nino Manfredi) non si spaccia per un assicuratore, è un assicuratore che ha ricevuto la sua particolare soffiata dal facchino dell’albergo: i nomi delle forze vive del paese, che vuole assicurare nel giro di due giorni. Dalla camicia alla lista nera, il giovane, all’oscuro della situazione e innocentemente fedele al fascismo (“Ognuno ha le sue idee, perciò vi saluto romanamente: se vedemo”), semina il panico tra i membri del consiglio comunale (irresistibili Gastone Moschin e Gino Cervi), “schedati” nel suo elenco, che si sforzano di far vedere al presunto gerarca come l’orologeria del regime funzioni con precisione anche negli angoli più lontani da Piazza Venezia, mettendosi d’accordo solo per coprire le malefatte comun(al)i.

Gastone Moschin e Gino Cervi ne Gli anni ruggenti. Luigi Zampa, 1962.

Una sceneggiatura a sei mani -il regista, Luigi Zampa, insieme a Ettore Scola e Ruggero Maccari– che prende come modello un gioiello del teatro ottocentesco, L’ispettore generale di Nikolaj Gogol’, e sposta l’azione dalla Russia zarista agli italici “anni ruggenti”, che ebbero poco a che vedere con i Roaring Twenties de Il grande Gatsby, bensì con quel fascismo “eroico” dei miti mussoliniani, fatto di adunate e discorsi magniloquenti e vuoti. Zampa dipinge un affresco ironico e impietoso, che chiude la brillante trilogia di impegno civile nata con Anni difficili (1948) e continuata con Anni facili (1953). Il tutto, nello stesso anno che Scola e Maccari firmarono un’altra denuncia dei soprusi del fascismo più efficace e tagliente di qualsiasi opera storica: La marcia su Roma.

Una squadra attoriale irresistibile mette in moto un pietoso paesaggio umano di mestieranti in camicia nera, preludio degli inquilini del palazzo romano in fermento per l’arrivo di Hitler in Una giornata particolare (Scola, 1977). Il consiglio comunale espone Omero a una dose letale di ottimismo littorio con un unico obiettivo: poter continuare ad approfittare delle circostanze storiche per arricchirsi a discapito del popolo. Poco importa se la nuova ala dell’ospedale non si è mai costruita, a patto che venga usata la lingua di Dante: “Cos’è questo cachet? Dategli un italianissimo cialdino! / Gli farà bene lo stesso. / Certo…”. Un’altra geniale anticipazione del capolavoro di Scola (Pompon? Italianizzalo, chiamalo pompono!”).

Salvo Randone e Nino Manfredi ne Gli anni ruggenti. Luigi Zampa, 1962.

Se ne La ballata del boia (Luis García Berlanga, 1963), Nino si mette nei panni di un uomo buono intrappolato nelle dinamiche socio-economiche della dittatura franchista, ne Gli anni ruggenti il suo ingenuo credo mussoliniano (“Quando ha detto: L’obiettivo dell’asse Roma-Berlino è uno solo, pace tra i popoli degni di questo nome, ho sentito un brivido nella schiena”) crolla assieme alla finta Arcadia felice. Una discesa negli Inferi con un Virgilio, il dottor De Vincenzi (Salvo Randone), che lo guida verso la verità dietro quel velo di fermezza morale (“Pure io l’ho sentito”): una verità di poveri, sovversivi e confinati, nascosti da gerarchi ridicoli che fanno a gara per vedere chi è più fedele al Duce. “È una frase di Mussolini! / No, di Peppe Tajoli, un nostro agente pubblicitario”.

Nessuna convinzione, nessuna ideologia. L’arrivo del vero ispettore -che, appena sceso dal treno, si mette d’accordo con il consiglio comunale- segna il ritorno di Omero a Roma, da solo, senza la luccicante divisa che tutti -compresa la figlia del podestà (Michèle Mercier), “innamorata” di lui fino alla scoperta della verità- gli avevano cucito addosso. Da solo? Anzi, con una nuova consapevolezza sulla realtà del fascismo: seduto nel corridoio di un vagone di terza classe, ritrova nella tasca del cappotto la lettera che un contadino gli ha affidato, credendolo un emissario del Duce. Una supplica che, nella voce di Riccardo Cucciolla, mette un brivido -questo, sì- terribilmente bello e struggente alla schiena. Da non dimenticare mai.

Caro Duce, tengo 56 anni e in vita mia non mi ho mai affacciato a una finestra, datosi che vivo in una grotta, con rispetto parlando, peggio del presepio. Ora ti chiedo se posso avere una casa, non tanto per la casa, ma per la finestra, ché non ne ho mai tenuta una. Me la puoi dare? Datosi che mio figlio è caduto in Africa e non è più tornato, lasciandomi vedovo del tutto. Caro Duce, ora che sto proprio solo vorrei avere alquanto meno una finestra, per mettermi affacciato e pregare per te, che ce ne hai tanto bisogno.

Nino Manfredi ne Gli anni ruggenti. Luigi Zampa, 1962.

Gli anni ruggenti

Un film di Luigi Zampa, 1962. Italia, Cinematografica Spa – INCEI Film. 110′, b/n.

Soggetto: Luigi Zampa, Sergio Amidei e Vincenzo Talarico, liberamente ispirato a L’ispettore generale di Nikolaj Gogol’. Sceneggiatura: Ettore Scola, Luigi Zampa, Ruggero Maccari. Interpreti: Angela Luce, Dolores Palumbo, Gastone Moschin, Gino Cervi, Giuseppe Ianigro, Mario Pisu, Michèle Mercier, Nino Manfredi, Rosalia Maggio, Salvo Randone. Fotografia: Carlo Carlini. Scenografia: Piero Poletto. Musiche: Piero Piccioni.

“Figurati se danno in mano il governo a quella gente lì!”:

LA MARCIA SU ROMA: I FANTASMI DEL FUTURO