Un re uscito dallo scrigno delle meraviglie di Shakespeare, Lear, nel montaggio diretto da Giorgio Barberio Corsetti nel 2017. Un monarca alla ricerca del tempo da riconquistare, “non per fare quello che dovresti fare, ma per fare quello che vorresti fare”. Il regno di Ennio era la sua Pantelleria, “guardando il falco che vola, guardando il mare la sera”. Perciò in questo Lear libertario esplodeva il meglio di chi un re lo era sempre stato, tutto quello che già sgorgava quando cominciò a calcare il palcoscenico nella schiera de La comune di Dario Fo.

Ennio Fantastichini in Re Lear. Giorgio Barberio Corsetti, 2017. Fotografia di Achille Le Pera.
Ennio Fantastichini ne La stoffa dei sogni. Gianfranco Cabiddu, 2016.

Erano i primi anni ’70 e da allora non trovò antidoto contro il veleno del teatro. Ennio amava il Novecento, “Antonin Artaud, Samuel Beckett e un po’ tutti i maledetti”, anche se il Bardo fu per lui una sorta di nume tutelare: incaricato di sdoganare la passione adolescente -quando le lezioni di pianoforte diventarono troppo costose, sua sorella gli regalò Amleto e ciò che arrivò come placebo si trasformò in ragione di vita-, lo incontrò anche in Sogno di una notte di mezza estate e sul grande schermo ne La stoffa dei sogni (Gianfranco Cabiddu, 2016).

All’incrocio tra L’arte della commedia di Eduardo De Filippo e la traduzione del genio napoletano de La tempesta, il film è una miscela di bellezza su misura per Fantastichini. Perché “io la resistenza la faccio a teatro”, ripeteva spesso, ma anche nel cinema. Figlio di una generazione fortemente ideologizzata –“Questo ci ha fatto commettere degli errori, ma ha anche aiutato molto alla nostra formazione”-, l’amore sbocciò per (benedetta) colpa di Gian Maria Volontè e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Elio Petri, 1970).

Questa monumentale dissezione dei meccanismi corrotti del potere sgomberò la strada di mattoni gialli del cinema per Ennio (“È là che ho pensato dentro di me: vorrei tentare di fare questo lavoro”), che a Oz trovò la sua missione di attore, di uomo, di cittadino, tutt’e tre inscindibili quando testa e cuore camminano di pari passo. Una missione alla Volontè, il mentore, il maestro, l’amico: “Mi manca molto, rimane ancora una pietra miliare nella mia vita”. E insieme lavorarono due volte, legati dall’inchiostro della penna di Leonardo Sciascia.

Ennio Fantastichini e Piero Natoli in Ferie d’agosto. Paolo Virzì, 1996.
Ennio Fantastichini e Giorgio Tirabassi in Paolo Borsellino. Gianluca Tavarelli, 2004.

La prima, in Porte aperte (Gianni Amelio, 1990), proposta arrivata due anni dopo un’altra felice esperienza con il regista calabrese, I ragazzi di via Panisperna, dove aveva impersonato Enrico Fermi. Porte aperte, invece, lo trasforma nell’assassino confesso Scalia, la cui condanna a morte diventa il mantello per coprire le miserie morali e politiche del Ventennio. Fantastichini, “unico nel suo modo di gestire il corpo” (Alessandro Haber), si imbatte in un tour de force con il “piccolo giudice” di Volontè e insieme tengono una superba lezione di recitazione:

Lui mi ha messo nelle condizioni di fare questo personaggio (…). Ero talmente emozionato quando andavo sul set che lo aspettavo nel corridoio per dirgli buongiorno, ma lui non mi ha mai salutato. Finite le riprese, mi arriva una telefonata: Pronto? Sono Gian Maria. Ho fatto il pollo coi peperoni, ti aspetto a pranzo (…). Quando sono sceso dalla macchina, mi ha abbracciato e mi ha detto: Adesso possiamo diventare amici, prima non potevamo, eravamo antagonisti.

La seconda, in Una storia semplice (Emidio Greco, 1991). Nella trasposizione filmica dell’ultimo Sciascia, costruito attorno alla Natività di Caravaggio trafugata dall’Oratorio di Palermo nel 1969, Ennio si cala nei panni di un commissario, come quello di Indagine, a spasso per il giardino del bene e del male. Questa volta, il testa a testa con il professor Franzò denuncia le contraddizioni di un’Italia in pieno processo di sgretolamento culturale, confermando l’immensità dell’alunno che, come il maestro, aveva stabilito “un rapporto rivoluzionario tra l’arte e la vita”.

Ennio Fantastichini e Sergio Rubini in Sacco e Vanzetti. Fabrizio Costa, 2005.
Ennio Fantastichini e Lunetta Savino in Saturno contro. Ferzan Özpetek, 2007.

E, così, fino a un centinaio di titoli, dei quali più di sessanta sul grande schermo. Il fascismo, gli anni di piombo, il fenomeno mafioso in tutte le sue sfaccettature: Fantastichini passò in rassegna il Novecento italiano attraverso i nomi che hanno segnato l’immaginario collettivo del Paese, tra cui (come avrebbe potuto essere altrimenti?) Bartolomeo Vanzetti (2005), Giovanni Falcone (2004) e il sindaco Cassano in Fortapàsc (Marco Risi, 2009), rivendicazione della memoria di quello straordinario “giornalista giornalista” chiamato Giancarlo Siani.

Ennio, “prepotentemente e arditamente anarchico, unica condizione umana accettabile”, tracciò la nostra geografia sentimentale in difesa della più radicale dignità personale, nelle grandi battaglie e nelle storie anonime, da Saturno contro (“Gay, io? No, io sono frocio, sono all’antica”) e Mine vaganti (Ferzan Özpetek, 2007, 2010) alla spietata radiografia sociale di Ferie d’agosto (Paolo Virzì, 1996): “Voi intellettuali v’atteggiate tanto, parlate così sofistici, state a analizzà, a criticà, a giudicà, ma la verità è che non ce state a capì più un cazzo, ma da mo!”.

Ennio Fantastichini in Fabrizio De André. Principe libero. Luca Facchini, 2018.
Ennio Fantastichini, Gianni Di Gregorio e Giorgio Colangeli in Lontano lontano. Di Gregorio, 2019.

Recitare è un dovere civile. Il cinema è non un antidepressivo: è esplorazione, approfondimento, conoscenza.

Presenza irresistibile, libera e catartica, anima tangibile, uno dei suoi regali più grandi fu Attilio, vecchio fanciullo trasteverino in cerca di un posto nel mondo in Lontano lontano (Gianni Di Gregorio, 2019): il testamento vitale e artistico non poteva che essere un miracolo di tenerezza, ironia e umanità sconfinata. “Ennio stava sul cazzo solo agli stronzi” e “Volerti bene è stata la cosa più facile della mia vita”, dissero Sergio Rubini e Pierfrancesco Favino all’indomani della sua scomparsa (fisica), e credere a queste parole è una delle più facili delle nostre.


Dichiarazioni tratte da: La valigia dell’attore 2002 – Ennio Fantastichini, La 7 – Coffe Break, intervista a Ennio Fantastichini (27 novembre 2017), La Repubblica – Webnotte, intervista a Ennio Fantastichini (29 novembre 2017), ilSicilia, intervista a Ennio Fantastichini (16 dicembre 2017), Gian Maria Volontè. Un attore contro (AA. VV., BUR Rizzoli, 2005).

“Anche lei, professore? / Anche lei, commissario?”:

UNA STORIA SEMPLICE A FUTURA MEMORIA